Tell me,
Would you k i l l
to save a l i f e ... ?
Ogni tanto le capitava ancora. E la cosa che le dava più fastidio era il fatto che le accadesse all'improvviso, dal nulla; senza riuscire a controllarla, senza riuscire a controllarsi. I battiti acceleravano ed il cuore iniziava a battere così prepotentemente da farle credere fosse realmente in procinto di esplodere nel petto da un momento all'altro. Una fitta pungente le prendeva lo stomaco, costringendola a rimanere immobile e a respirare lentamente. Le mani non rispondevano più ai suoi comandi, prese alla sprovvista da un fastidioso ed insistente tremolio. ... E le lacrime non si curavano di rigarle,
graffiarle il viso, né di gonfiare, arrossare i suoi occhi.
Fortunatamente le capitava solo a casa, lontano dall'attenzione altrui ma, soprattutto, dagli occhi dei suoi genitori. Sfortunatamente, però, le succedeva sempre prima che si coricasse per andare a dormire, rendendole così difficile il sonno ed il riposo, andando a comprometterle inevitabilmente il risveglio. Puntuale come un orologio svizzero, veniva svegliata da un mal di testa tale che riusciva a spogliarla di qualsiasi voglia ed energia; l'unica cosa che le rimaneva da fare era voltarsi a pancia in giù, inerme, costringendo gli occhi a rimanere chiusi fino a ché non si fosse addormentata di nuovo.
Nonostante fossero passati ormai mesi dall'accaduto, le immagini, le sensazioni e le emozioni che l'avevano sopraffatta quel giorno continuavano a tormentarla, rendendole davvero difficile convivere con sé stessa. Come se tutto questo non fosse abbastanza, Miriam non aveva mai smesso di scriverle periodicamente messaggi nei quali la teneva aggiornata sulla
loro salute e la ringraziava per aver
li salvati entrambi. Più volte aveva pensato di cambiare numero di telefono o di bloccare il suo, eppure ad ora non era ancora riuscita a farlo. ... E mai come quella sera ne fu sinceramente contenta. Mai come quella sera fu felice di
provare quel malessere. Seduta sul bordo del letto, non riusciva a distogliere gli occhi dallo schermo del cellulare e dalla foto che le era stata inviata dalla ragazza, seppur le lacrime le impedivano di mettere bene a fuoco la piccola figura che quello scatto aveva immortalato.
Presa com'era dal momento, dalla notizia e da tutto quel virtiginoso uragano di emozioni e pensieri, finì con l'addormentarsi ancora vestita e con il telefono stretto in mano, nel pieno di una rivolta interiore che aveva come palcoscenico il suo cuore.
... There is a f i r e inside of this heart
and a r i o t about to explode into flames ...
A svegliarla quella mattina non fu il trillo della sveglia, sempre puntata con largo anticipo sulla tabella di marcia, né il simpatico mal di testa che non tardò a darle il buongiorno quando si tirò in piedi, ma bensì le lamentele del suo stomaco che la minacciavano di continuare ad infastidirla finché non si fosse decisa a riempirlo. In un primo momento indugiò nel letto, con gli occhi ancora pesanti per il sonno, due fessure fisse su coperte che non vedeva realmente. Solo quando allungò il braccio per cercare il cellulare e vedere l'ora si rese conto di non indossare il pigiama. Momentaneamente stordita, corrugò la fronte massaggiandosi la testa, mentre i ricordi lentamente riaffioravano, andando a riordinare i tasselli di quel complesso puzzle sparsi nella sua mente. Si portò seduta con gli occhi fissi sull'ora che comparve sul display, finendo col sospirare contrariata. Le sei del mattino. Le andava bene svegliarsi mezz'ora in anticipo, ma un'ora era decisamente troppo anche per lei. Sbloccata la schermata iniziale, si ritrovò sotto gli occhi la fotografia sulla quale si era imbambolata la sera precedente prima di crollare esausta. Da lenzuola verdi, spuntava il piccolo faccino di un bebè paonazzo; non stava piangendo, al contrario: sembrava essere beatamente sereno. Accennato ma sincero, il sorriso decise finalmente di svegliarsi e di appropriarsi delle sue labbra.«
... Lorenzo. »
Visto il tempo che aveva a disposizione decise di prepararsi un bel porridge caldo per colazione, con una bella mela tagliata a cubetti e una spolverata abbondante di cannella; in autunno e in inverno era decisamente una delle cose che più adorasse mangiare appena sveglia. Mise a bollire anche dell'acqua per il thé, e mentre aspettava che l'avena assorbisse tutto il latte, riempì anche la moka con il caffè per i suoi genitori, preparando un paio di tovagliette sul tavolo anche per loro; almeno per quella mattina avrebbero potuto prendersela un po' più con calma anche loro. Quanto a lei... Il pensiero del lunedì non la metteva particolarmente di buon umore.
Scuola. Sbuffò, mentre versava la colazione nella ciotola, rimanendo a mangiare in piedi contro la cucina sovrappensiero.
Le lezioni erano cominciate da un paio di settimane ormai, ma lei non si era ancora abituata all'idea, né tanto meno all'
ambiente. Dopo mesi passati lontana dalla struttura scolastica, rimetterci piede non era stato per nulla facile. Scuola nuova. Compagni nuovi. Anno nuovo. ... O così voleva presentarsi. Ma l'edificio non era poi così diverso dalla scuola da cui proveniva e l'unica cosa che rendeva diversi i ragazzi che la frequentavano erano i connotati; le personalità, i caratteri, le abitudini, i sogni ed i timori erano sempre gli stessi. Così come l'anno che le si prospettava davanti non era poi così nuovo per lei, da brava ripetente qual era. Durante tutto il mese di agosto aveva provato a prepararsi psicologicamente a ciò che l'attendeva dietro la porta, ma arrivato il fatidico giorno si rese conto di quanto inutili si rivelarono essere i suoi sforzi. Odiava chiudersi tra quelle mura; odiava le occhiate che riceveva; odiava i sussurri nei corridoi; odiava i vividi ricordi che quotidianamente volevano provare a soffocarla.
Odiava il fatto stesso di odiare qualcosa e qualcuno.
Rimase a fissare la tazza vuota come se sperasse che una qualche soluzione potesse realmente emergere per magia dal fondo bianco, pronta a salvarla da sé stessa e dalla giornata che non poteva evitare. Purtroppo però, anche quella mattina non accadde nulla e l'inesorabile scorrere del tempo iniziava a metterle fretta. Ripose tutto nella lavastoviglie e corse ad occupare il bagno, prima che gli altri pretendenti lo reclamassero, concedendosi una rapida doccia calda che riuscì a scrollarle un po' di dosso la tensione. Peccato non fu altrettanto d'aiuto per il mal di testa, che continuava a pulsarle all'altezza delle tempie al pari di un martello pneumatico. Sciacquati anche denti e viso, e messa un po' di crema e del burrocacao sulle labbra screpolate, uscì finalmente dal bagno, venendo accolta subito da un intenso odore di caffè, accompagnato dal leggero brusio della radio. Se i suoi genitori si erano svegliati, significava che aveva giusto il tempo di vestirsi e preparare lo zaino, prima di uscire ed andare a prendere il tram. Il Tempo quella mattina doveva essere particolarmente eccitato per correre così velocemente; almeno lui sembrava essere di buon umore. Sperò solo riuscisse a misurare e distribuire quell'eccitazione per tutta la mattinata, così da liberarla il più presto possibile dall'incubo che l'attendeva.
Matematica. Scienze Umane. Ora buca.
Mettere una verifica alla prima ora di lunedì era illegale in qualsiasi universo, specialmente se aveva a che fare con numeri e formule. Non che avesse problemi con la materia, ma ne avrebbe comunque fatto volentieri a meno. Come avrebbe preferito non dover assistere ad una delle noiosissime lezioni del professor Lia, che come al solito si perse in lunghe digressioni che resero ancora più confuse le sue spiegazioni. "
Fortunatamente" la professoressa di storia non si presentò a lezione, regalando una piacevole ora buca a tutti. Meno che a lei. Chiacchere si sovrapposero ad altre chiacchere dando inizio ad un vociare che favorì la sua emicrania ed il suo pessimo umore, occhiate e tentativi di conversazioni morte sul nascere da parte di alcune ragazze che ancora non si eran date per vinte, nonostante il suo palese disinteresse a rivolgere loro parola. Passò l'ora con le cuffie alle orecchie e gli occhiali da sole indossati, senza staccare le spalle dal calorifero ancora spento ed i piedi dalla sedia, isolandosi da tutto quel che le accadeva intorno. La filosofia che era
decisissima a seguire quell'anno era proprio quella: evitare il più possibile il contatto con i compagni e qualsiasi altro studente della scuola, salvo che non fosse strettamente necessario per lavori e compiti di gruppo; più fosse riuscita a tenere le persone distanti e più inosservata sarebbe riuscita a passare, meno problemi avrebbero sentito il bisogno di farle visita.
Peccato solo sembrasse avere una calamita per le attenzioni, specialmente di
quel genere.
Appena suonò la campanella che annunciava l'inizio dell'intervallo, riordinò le sue cose nello zainetto prendendo con sé solamente il cellulare ed il portafoglio, per andare a sistemarsi tranquillamente in biblioteca. Di tutto l'istituto, era l'unico posto in cui riusciva a trovare un po' di pace, lontana da fastidiosi sguardi e dicerie. Approfittò della confusione e dell'assalto generale alle macchinette e al bar, per fare una piccola sosta in bagno; aveva assolutamente bisogno di rinfrescarsi il viso. Passò oltre i servizi femminili, pieni di voci e risa squillanti, e puntò dritta a quelli maschili, decisamente più silenziosi e meno frequentati. Non era la prima volta che vi entrava clandestinamente e riusciva anche a passare inosservata; quei pochi studenti con cui le capitò di imbattersi non si erano mai posti domande, scambiandola senza alcuna difficoltà per uno di loro. D'altronde, ad un primo sguardo, con la sua altezza, il taglio di capelli, l'assenza di curve, i suoi lineamenti spigolosi ed il suo abbigliamento era difficile riuscire scambiarla per la ragazza che era.
Aveva appena chiuso il rubinetto, quando sentì delle voci raggiungerla rapidamente; due studenti fecero il loro
clamoroso ingresso e non ci volevano abilità speciali per capire cosa sarebbe accaduto da lì a pochi minuti. Per questo motivo si voltò nuovamente verso il lavabo, dando le spalle alle porte dei bagni, ed approfittando così della parete che celava perfettamente la sua presenza. In una qualsiasi altra situazione non si sarebbe fatta alcun tipo di problema a lasciare i servizi come se nulla fosse, ma il tonfo e la voce che udì bloccarono i suoi passi all'istante. Per lei, quelli non erano affatto studenti, ma
problemi. Proprio quel genere di problemi che stava cercando di evitare a tutti i costi da quando aveva messo piede in quella scuola. Leggermente china sul lavandino, con i pugni stretti sul bordo, chiuse gli occhi, obbligandosi a non ascoltare la loro
animata conversazione. ... Purtroppo però non fece che peggiorare ulteriormente la sua situazione. Appena chiuse le palpebre, frammenti di immagini iniziarono a sovrapporsi nella sua mente: le pareti di un bagno, la voce dell'acqua che usciva dai rubinetti, sagome di ragazze ora in piedi, ora a terra....
Improvvisamente, l'aria le venne a mancare, tanto da farle credere di soffocare. E quando si decise a riaprire gli occhi... Aveva ormai perso il controllo sulle sue azioni.
«
... Mi stavo giusto chiedendo da dove provenisse quest'orribile odore, dimenticandomi per un attimo di essere nel tempio delle merde. E sfortunatamente ne ho una davvero enorme che, non solo mi urta particolarmente, ma mi blocca anche il passaggio. » Sospirò, passandosi distrattamente una mano tra i capelli, palesando la sua presenza con sin troppa nonchalance. Lo schifo ed il nervoso che stava provando arrivò alle stelle, nell'assistere alla scena: il
solito energumeno tutto muscoli e niente cervello, talmente ghiotto che poteva sfamare le sue voglie malsane riempendosi la pancia solamente facendo il pieno di
piccole e
deboli prede. Come previsto attirò l'attenzione del ragazzo, ma non riuscì comunque a distrarlo dal pugno che riservò al ragazzino, che inevitabilmente scoppiò in lacrime. Quando finalmente si prese la briga di dedicarle la sua completa attenzione, fece segno con il capo al ragazzino, incitandolo ad uscire alla svelta da lì; nonostante lo shock, le lacrime ed il dolore che stesse provando, reagì abbastanza rapidamente, lasciandoli soli. «
... I tipi come te non mi piacciono! Non li sopporto i samaritani! » Non rispose alla provocazione, non aveva alcuna intenzione di sprecare ulteriore fiato, sfidandolo apertamente con lo sguardo ed il leggero ghigno che le aveva incurvato le labbra. «
Merda- » Lui. La situazione. In quel momento era realmente tutto una merda. Si lasciò spintonare, cadendo inevitabilmente a terra, ma riuscendo per fortuna ad evitare i lavandini. Mai giorno fu più azzeccato per indossare dei jeans strappati. Non le piaceva per nulla alzare le mani, né tanto meno abbassarsi al livello di persone del genere, ma ormai era dentro... Ed era l'unica cosa che le avrebbe permesso di non finire dritta in ospedale, e di non riempire così i suoi genitori di preoccupazioni che a fatica sembravano essersi finalmente assopite. «
Sei fiachetto! Siamo sicuri che sei un maschietto?! » Non tardò a rimettersi in piedi, rispondendogli semplicemente con un sputo degno di un lama. Sostenne il suo sguardo per nulla intimorita; l'unica cosa che si poteva leggere nei suoi occhi cristallini era un profondo
schifo. Sapeva che non avrebbe fatto altro che istigarlo ulteriormente, come sapeva che non sarebbe comunque uscita illesa dai bagni quel giorno. Non riuscì ad eludere la presa del ragazzo, che senza troppa fatica tenendola stretta per il colletto della felpa e le caricò un pugno in pieno viso; al momento però era troppo occupata a calciarlo e dimenarsi per sentire il dolore e accorgersi del rivolo di sangue che fece capolino dalle sue labbra. Fece giusto in tempo a mordergli il polso, costringendolo a lasciare la presa, che un paio di professori si decidessero
finalmente ad intervenire. ... Ed
ovviamente non le diedero nemmeno il tempo di spiegare quanto fosse accaduto, che si ritrovò costretta a subire in silenzio la loro strigliata e la nota che il vicepreside scrisse di suo pugno sul registro di classe. Non le sfuggì l'occhiata che l'uomo le lanciò, ben sapendo a cosa era dovuta la croce invisibile che appose su di lei. «
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio... Eh? » L'aveva segnata. Ancora una volta era stata segnata
ingiustamente. E se fino a quel momento era riuscita a non attirare troppo la loro attenzione, quel giorno era riuscita ad assicurarsi maggiori
attenzioni anche da parte del collegio docenti.
«
... Ancora una cosa. Per questa volta chiuderò un occhio e non solo eviterò a voi la sospensione, ma anche di dare dispiacere alle vostre famiglie già ad inizio anno. » Aveva già recuperato il registro, pronta per tornare in classe, quando il professore parlò nuovamente, inchiodandoli ancora nel suo ufficio. Si morse la lingua cercando di rimanere concentrata ed evitare di sbuffare o alzare gli occhi al soffitto, e compromettere così ulteriormente la sua
rosea situazione. «
Tra non molto si terrà l'open day del liceo e servono volontari che se ne occupino. ... Mi fa molto piacere aver ricevuto le vostre proposte. Mi raccomando fateci fare bella figura...! » Non le piaceva urlare, ma in quel momento l'avrebbe fatto davvero molto volentieri. Si sentì scoppiare. Perché si era cacciata in quella situazione? Perché stava succedendo a lei? «
Perché...?!?! »
Sulla porta, prima di dare le spalle al ragazzo del quinto anno ed andare in palestra per le due ore di educazione fisica, gli riservò un'ultima occhiata tagliente, colma di
gratitudine. «
... Vero. Per portare fortuna, bisogna pestarla la merda Sylvia...! »
Volendo provare a cogliere il lato positivo della situazione, un po' di fortuna alla fine l'aveva sfiorata. Era stata giustificata dalla professoressa a non prendere parte alla lezione di educazione fisica, se non se la fosse sentita... E bastava veramente guardare la sua faccia per capire quale fosse la sua intenzione. Con il ghiaccio secco premuto sulla guancia e le cuffie alle orecchie, rimase seduta sul pavimento accanto alla cattedra della palestra, cercando un po' di consolazione nella musica e nel piccolo faccino arrossato di Lorenzo. Passò entrambe le ore cercando di liberarsi dalla pesantezza della negatività che aveva deciso di abbracciarla quel giorno, provando a pensare a qualcosa da poter scrivere a Miriam. Non lo aveva mai fatto e si sentiva fastidiosamente a disagio anche solo al pensiero di inviargli "A".
Alla fine, nemmeno quel giorno la ragazza ricevette alcuna risposta da parte sua.
Al termine delle lezioni, si alzò a fatica dal pavimento grazie alla dolorosa botta sul fondoschiena; non era stata affatto una mossa furba stare in quella posizione per due ore consecutive. Nonostante ben sapesse che la sua giornata scolastica non sarebbe finita lì quella mattina, indossò comunque gli occhiali da sole, volendo evitare qualsiasi sguardo. Con lo zainetto su una spalla e la giacca sul braccio, raggiunse con molta calma l'aula che le era stata indicata, ancora incredula e infastidita. Come se non bastasse, incrociò sulla soglia proprio la
merda che l'aveva coinvolta in quella situazione. Lo lasciò entrare, decidendo di ritardare ancora di qualche minuto il suo ingresso, entrando invece nell'aula accanto; la responsabile dell'infermeria si stava preparando a chiuderla, ma fortunatamente non la privò di un'altra bustina di ghiaccio secco. Con un po' di fortuna la botta sul viso non sarebbe diventata troppo scura ed il gonfiore non sarebbe peggiorato; magari sarebbe anche riuscita a nasconderla ai genitori.
Varcò con sicurezza la porta dell'aula
detenzioni, puntando dritta ad un banco vuoto. Solo una volta che si sedette, osò posare rapidamente lo sguardo nascosto dalle lenti sugli studenti presenti, non riconoscendo
fortunatamente nessuno; ... tranne che il responsabile della sua presenza lì. Inutile dire che né si presentò, né accennò ad un saluto, sperando che i presenti avessero l'intelligenza necessaria per capire che non era proprio il caso di romperle le scatole con chiacchere inutili.
Con il gomito poggiato sul banco e la bustina del ghiaccio sulla guancia, sperò di potersi liberare presto di quel peso, cercando di allontanare la strana e fastidiosa sensazione che l'aveva assalita quando aveva messo piede in quell'aula.